La parola “grazie”, intesa come l’espressione di un ringraziamento, è una delle più belle parole della lingua italiana.
 

Deriva dal latino “gratia” che, tra gli altri, ha il significato di gratitudine.

Come tutte le parole, però, se usata impropriamente non solo si snatura, ma diventa molesta. 

Leggo e ascolto, infatti, sempre più spesso l’uso del “grazie” in sostituzione della parola “prego”, in particolare da parte degli impiegati verso i propri responsabili. Se, ad esempio, una persona che deve ricevere un “grazie” per aver svolto un compito, ringrazia chi le ha assegnato il compito per piaggeria, attribuisce un nuovo significato alla parola.

Un altro uso improprio si ha quando una persona con poteri, pubblici o privati, ringrazia per imporre qualcosa. L’intonazione di questo “grazie” diventa sgradevole come l’intonazione dell’espressione “E’ un ordine!”

Non meno grave è l’immotivato uso ripetitivo della parola. La ripetizione, infatti, per quanto si possa presumere sincera, genera una diminuzione del valore del “grazie” perché l’uso non è ponderato, bensì automatico. 

Il più molesto in assoluto è l’uso del “grazie” per congedare qualcuno. Infatti, una parola che dovrebbe essere usata per concludere una conversazione con piacere, diventa lo strumento per interrompere la comunicazione con fastidio, impedendo all’interlocutore di replicare.

Per concludere bisogna ricordare che l’educazione o la diplomazia nel parlare non richiedono di reinventare l’italiano.

Una ragazza orientale con abiti e copricapo tradizionali e le mani con le dita che si toccano si inchina danzando

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