Una sera d’estate stavo cenando in una macelleria-ristorante, in provincia di Taranto.

Ridevo con gli amici mentre assaporavo un arrosto divino, deliziata dalla brezza serale.

In questi luoghi ameni, a volte, l’unico vino disponibile è quello della casa. Ed infatti non ebbi scelta e chiesi mezzo litro di rosso.

Ebbene non era un vino: era il nettare degli dei!

Chiesi alla cameriera il nome di quel vino, ansiosa di annotare qualcosa per ricomprarlo.

La ragazza si strinse nelle spalle, imbarazzata, e mi disse “E’ il vino nostro, lo fa mio padre. Non ha un nome”.

In quel momento ricordai quel che avevo dimenticato: a sud, spesso, il vino della casa è veramente della casa!

Il nome del vitigno, le tecniche per realizzarlo, il tempo in botte, sono discorsi per gli enologi, non per chi è abituato a quel livello di qualità.

Quel gusto unico era il sapore della genuinità, delle cose fatte a regola d’arte non per venderle, ma per piacere. 

Grappoli d'uva nera, matura per fare il vino rosso, con gocce di rugiada
Fotografia di Stefano Corda

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