La professoressa di una scuola superiore italiana è stata condannata a tre mesi di reclusione per abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, art. 571 del codice penale.
La professoressa del mio liceo non è mai stata condannata né ha mai subito un provvedimento disciplinare, che io sappia.
Eppure ricordo le umiliazioni subite dai miei compagni di classe meno promettenti. I paragoni con animali dotati di un encefalo non troppo grande non si contavano, corredati da esempi degradanti.
La violazione della privacy ai danni di alunni di altre classi, che avevano frequentato il nostro stesso corso, derisi davanti a noi.
Interrogazioni che sembravano angherie psicologiche, con i compagni più deboli che rischiavano lo svenimento.
Ed infine la mancanza di rispetto verso gli altri professori che ricevevano, nelle ore successive, una classe deconcentrata e tesa, che aveva sprecato tutte le energie per tenerle testa.
Ogni alunno denunciava a casa questi comportamenti, ma i genitori hanno preferito tacere con la speranza di non compromettere i voti del minore.
Un voto non indecente al prezzo della dignità del proprio figlio, preparando la prole a subire, tacendo, nel futuro ambiente lavorativo.
Ed infatti, quando quelli alunni hanno raggiunto la maggiore età, hanno continuato a tacere fino all’esame di Stato, per ottenere un voto che sarebbe stato ugualmente misero.