Il professore del liceo, prima di iniziare la lezione, ci parlava di argomenti di vario genere.
Noi alunni, terrorizzati dall’interrogazione, lo travolgevamo di domande affinché i racconti si dilatassero e l’ora di lezione si riducesse al minimo; ma, ahinoi, i pochi minuti rimasti bastavano per interrogare.
Ricordo quando la sua voce raccontò alle nostre orecchie, incredule, che le guerre, passate, presenti e future, erano, sono e saranno anche stupri, abusi e torture. Fu come se il velo epico, che aveva ricoperto i racconti bellici nei precedenti anni di scuola, venisse squarciato in un solo istante.
Ci disse che aveva insegnato ai suoi figli a proteggersi esprimendo un semplice concetto: “Ci sono cose per le quali papà apre il portafoglio e risolve tutto. Ci sono cose per cui nemmeno vostro padre può fare niente”.
E mentre un giorno noi liceali ci confrontavamo sulle nostre idee politiche, anche animatamente, ci spiegò che l’appartenenza politica nulla diceva sulla qualità di una persona: un individuo era bravo o cattivo in base ai geni che aveva ereditato.
Quando parlavamo di università ci diceva che comprendeva le nostre ansie: lui stesso, alla nostra età, si sentiva talmente incerto da essere entrato nell’aula universitaria di profilo, per farsi vedere il meno possibile.
Ricordo infine, nei racconti della sua vita, un costante riferimento all’assenza di una figura paterna, e immaginavo che, almeno durante l’ora di lezione, cercasse di essere nostro padre.