Mario Mirabile, co-fondatore e vicepresidente dell’associazione “South Working – Lavorare dal Sud” ci spiega questo ambizioso progetto.
1) L’idea del South Working è uno dei risultati positivi a cui ci ha condotto questa crisi: la classe politica ha compreso le potenzialità di questa rivoluzione?
Siamo stati contattati da quasi tutte le parti politiche attualmente presenti in Parlamento. Il nostro desiderio è costruire un rapporto propositivo e istituzionali con questi soggetti nell’ottica di un arricchimento degli studi sui temi di interesse del progetto. La politica è per sua natura sintesi e conflitto. Invece, noi, come associazione di promozione sociale, tendiamo alla collaborazione aperta e alla condivisione della conoscenza e procediamo uniti verso un obiettivo comune: maggiore coesione economica, sociale e territoriale a rialzo per tutto il Paese attraverso lo ‘strumento’ del lavoro agile. Sono sicuramente argomentazioni complesse, che tentano di scardinare le logiche del passato. Dunque, la politica, a volte abituata a vecchi sistemi, avrà bisogno di tempo per metabolizzare questo nuovo modo di guardare al Meridione. La pandemia ce lo impone, se desideriamo vivere in un Paese più forte nella sua totalità e diversità, superando o mitigando logiche di accentramento del capitale umano, economico, tecnologico e culturale.
2) Le aziende hanno diversi vantaggi non solo nel risparmio economico, ma anche nel poter assumere talenti che vivono al di fuori della loro area territoriale: ti sembra che stiano sostenendo concretamente il vostro progetto?
Abbiamo notato un grande interesse da parte delle aziende nel comprendere le possibilità che il lavoro agile (non il telelavoro emergenziale fatto spesso finora) può offrire loro sia in termini economici, quanto per rendere la vita dei loro dipendenti migliore. Ne hanno tutte le ragioni per essere interessate a un progetto di ‘advocacy’ come il nostro: esistono già molti studi di scienza dell’amministrazione che sottolineano i potenziali vantaggi del lavoro a distanza per obiettivi per il datore di lavoro, in termini di incremento di produttività, miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori e della loro motivazione, riduzione degli straordinari e dei fenomeni di assenteismo (per le PA), ottimizzazione dei costi, riflessi sulla ‘reputation’ e sulla responsabilità sociale d’impresa.
3) Cosa consigli ai lavoratori che vengono ostacolati dal datore di lavoro nella scelta dello smart working?
Come già evidenziato nella Carta dei valori del South Working, presente sul nostro sito internet (Carta del South Working), lo smart working, e il south working in particolare, si basano sulla volontarietà degli spostamenti di lavoratrici e lavoratori. Noi non ci sostituiamo ai sindacati. Vogliamo, invece, sensibilizzare le aziende e i lavoratori sulle possibilità che può offrire il lavoro agile, cercando di mitigare o risolvere le criticità, attraverso formazione, socializzazione in quelli che abbiamo definito ‘presidi di comunità’ (coworking, spazi per la partecipazione civica, e così via). Consiglio, infine, ai lavoratori di leggere l’Appendice dei Diritti del South Worker, la quale descrive i diritti del South Worker che saranno pienamente operativi una volta terminato lo stato di emergenza dichiarato a causa della pandemia COVID-19. Bisogna essere consapevoli dei propri diritti e cercare di sensibilizzare le aziende. Non è un caso che a breve apriremo le iscrizioni alla sezione “Ambassador”, in mood che gli stessi lavoratori che desiderano lavorare in South Working possano farsi portavoce di questa istanza.
4) In questo momento avete creato un movimento di opinione e state raccogliendo dati sull’argomento tramite un questionario (Survey South Working): qual è il prossimo passo perché questa idea diventi una realtà per qualunque smartworker?
Da una parte tramite il sondaggio che menzioni, stiamo comprendendo quante persone potrebbero potenzialmente essere interessate al progetto South Working, ma allo stesso tempo invitando tutti coloro che lo desiderano a segnalarci coworking e spazi per il lavoro agile in Italia tramite un form molto breve (Mappatura South Working presidi di comunità). In questo modo, faciliteremo la possibilità di fare rete tra i lavoratori e le comunità locali, ma anche la stessa transizione da dove abitualmente si lavora al luogo in cui si desidera lavorare. Inoltre, spostando immediatamente alcuni lavoratori che lo desiderano al Sud, si inietta liquidità nell’economia, invertendo quelle logiche su cui si basano le politiche di coesione, per cui per incentivare lo spostamento dei lavoratori sono necessarie tutte le infrastrutture, anche di mobilità. Molte città del Sud sono già pronte ad accogliere i lavoratori di rientro o di primo ingresso dal Nord e dall’estero.
Nel medio periodo puntiamo a stimolare una collaborazione strutturata tra i vari soggetti di interesse e tra i vari livelli di governo per agevolare chi decide di iniziare a lavorare in modalità “South Working” (ad esempio, puntando al miglioramento delle infrastrutture digitali necessarie a un lavoro sicuro ed efficiente; partecipando a bandi che promuovano la coesione territoriale, la partecipazione, la collaborazione e la socialità). Infine, nel lungo periodo, stiamo lavorando per creare una maggiore flessibilità per una vasta gamma di lavoratrici e lavoratori, anche a livello intraeuropeo, che potranno approfittare delle reti di soggetti già esistenti per una maggiore mobilità, una maggiore qualità della vita, una maggiore vicinanza alle proprie reti sociali. In fondo, come ci ricorda sempre Elena Militello, il Sud è un concetto relativo: siamo tutti il Sud di qualcun altro.
Ci sarà presto un vaccino e queste idee di ritorno al Sud svaniranno. Il lavoro al Sud ci può essere in altri settori, agricoltura, turismo ed anzi dovremmo incentivare tutti i servizi di assistenza e promozione, finanziari e di supporto agli operatori per uno sviluppo sostenibile del Sud. Che il giovane addetto al customer service di una banca assunto a Biella voglia lavorare a casa di mamma a Castellabate è condivisibile fino a un certo punto. Bisogna sostenere le famiglie con figli. Innanzitutto con bonus fiscali o servizi gratuiti, come i nidi.
Perchè il lavoro a Sud ci può essere solo in determinati settori? Il ragazzo di Biella, che non ha bisogno di altro se non del pc e della connessione internet, può lavorare dove vuole, non per forza a Sud. E le famiglie con bambini devono essere sostenute a prescindere, prima, durante e dopo la scoperta del vaccino contro il male dell’anno.
Secondo questa tesi avremmo risolto i mali dell’Africa con una connessione internet e un buon livello di istruzione e competenze informatiche. Ma sappiamo bene che il contesto lavorativo è l’ufficio, la fabbrica, lo studio, l’ospedale, l’aula! Persino gli informatici lavorano presso le sedi dei clienti. Poi certamente possiamo stare a casa 1 giorno, 2, forse 3 ma non si può stare un po’ al Sud e un po’ al Nord. O si sta da una parte o dall’altra, sennò facciamo i pendolari ed è peggio che morire tra Castellabate e Biella. Però magari hai ragione tu.
Tutte le transizioni da una fase all’altra richiedono del tempo. Le resistenze sono comprensibili. Ci saranno i problemi che dici tu e i vantaggi che dico io, ma le abitudini cambiano a prescindere dalle nostre opinioni.